GUERRA

17.07.2024

LE LETTURE DEL MATTINO

 Condividiamo il breve brano "Siamo tutti responsabili della guerra" di Claude Anshin Thomas tratto dal libro "Una volta ero soldato: Dall'orrore del Vietnam all'incontro con il buddhismo"


Di ritorno dal Vietnam, ero rientrato in una società che cercava di lavarsi le mani dalla responsabilità riguardo a quella guerra, e lo faceva emarginando chi vi aveva prestato servizio. 

Questo passava il messaggio, chiaro e forte, che gli unici responsabili erano i reduci e che quelli che non avevano combattuto erano, in un certo senso, assolti dalla responsabilità. Se analizziamo a fondo la questione, però, possiamo dire che coloro che non combattono non sono separati da coloro che combattono; siamo tutti responsabili della guerra. La guerra non è una cosa esterna a noi: è una nostra estensione, le sue radici affondano nella nostra vera natura. Succede dentro ognuno di noi.

Quando parlo con altri reduci dalla guerra nel Vietnam o nel Golfo, con i reduci russi dalla guerra in Afghanistan o i reduci cambogiani della guerra civile, con i soldati bosniaci, croati, serbi, con i soldati dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, con i soldati di tutte le guerre, sento sempre la stessa storia. Dicono di non essere capiti, che i civili evitano di entrare in contatto con loro, che oppongono resistenza a ogni relazione che non sia la più superficiale. Sono convinto che chi non ha combattuto non faccia lo sforzo di comprenderci perché entrare in contatto con la realtà della nostra esperienza significherebbe per loro entrare in contatto, a loro volta, con lo stesso genere di dolore e di sofferenza che hanno dentro, e di conseguenza riconoscere le proprie responsabilità.

Il fatto che la guerra metta i soldati in condizione di uccidere persone, di agire con violenza, non significa che chi non ha combattuto non abbia in sé lo stesso potenziale di violenza. Certo, possiamo fingere di non essere violenti; ogni volta che come individui e come società ci troviamo davanti alla violenza possiamo anche cercare di nasconderci da essa, possiamo tentare di respingerla. Ma se non entriamo in contatto con quella parte di noi stessi, se non riconosciamo la nostra complicità nelle tante guerre che si combattono nel mondo e a casa nostra, se non prendiamo consapevolezza del nostro potenziale di violenza personale vuol dire che non siamo integri, non siamo equilibrati. 


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